Non parlerò della mia prima macchina fotografica, era un cesso di macchina ed è poco interessante.
Non parlerò della passione per la fotografia, sarebbe un pippone tra l'autoreferenziale e il nostalgico.
Scriverò solo brevemente di un percorso, tra la l'esistenziale e il visivo, che mi ha portato a fare queste foto.
Non parlerò della passione per la fotografia, sarebbe un pippone tra l'autoreferenziale e il nostalgico.
Scriverò solo brevemente di un percorso, tra la l'esistenziale e il visivo, che mi ha portato a fare queste foto.
Vivo nella grigia e asettica periferia milanese, ma conservo gelosamente il ricordo di un tempo passato che, talvolta, si ripropone e mi porta a rivivere attimi in cui questi posti erano pieni di colori.
Un giorno lessi "Lezioni di fotografia" di Ghirri. Più che il lato tecnico, a cui evidentemente non mi sono mai ispirato, ho colto il lato umano delle parole con cui si descrivevano i singoli scatti.
E da quel giorno ho cominciato a parlare con le mie fotografie, ad annusarle, a capire che in qualche modo si poteva restituire un colore anche a tutto quello che ormai era invaso dal grigio.
Un giorno lessi "Lezioni di fotografia" di Ghirri. Più che il lato tecnico, a cui evidentemente non mi sono mai ispirato, ho colto il lato umano delle parole con cui si descrivevano i singoli scatti.
E da quel giorno ho cominciato a parlare con le mie fotografie, ad annusarle, a capire che in qualche modo si poteva restituire un colore anche a tutto quello che ormai era invaso dal grigio.
L'ambizione non fa per me, non ambisco a riproporre un'immagine che già sia stata proposta, non penso di essere bravo, non penso di essere tecnicamente formato, mi riconosco solo un forte attaccamento alla terra, alla mia terra devastata da decenni di speculazioni edilizie e di oblio nei confronti di quello che è stato, e a tutte le bellezze che ancora esistono.
Ma la bellezza per me va ricercata nei posti che hanno lasciato spazio all'essere umano, quindi nella Sesto San Giovanni che fu la Stalingrado d'Italia, dove le fabbriche sono ormai dismesse e si respira ancora l'odore del sudore degli operai, dove se chiudi gli occhi li vedi ancora uscire con le loro gavette.
La bellezza si trova a Consonno, nel sogno delirante di un miliardario che si è trasformato in un ospizio per anziani, lasciando poi spazio alle TAZ dei rave.
E c'è bellezza in un Cristo pacchiano, che sembra farti l'occhiolino mentre guarda al mare di una regione tanto meravigliosa quanto piena di contraddizioni come la Calabria.
Cerco la bellezza nei depositi delle ferrovie di Via Breda, dove molti compagni combatterono per avere condizioni di
lavoro eque come la cerco in una strada che si lancia nell'acqua di un invaso nel piacentino, quasi a rappresentare il dolore dei molti che in questi anni hanno assistito a tragedie, devastazioni, inondazioni.
La bellezza sta in una vecchia moto, all'angolo di una strada che non conosce colori, se non quel rosso fiammante, e trovo la bellezza nell'esplosione di fiori sul cemento della pavimentazione di quel piazzale, davanti al Teatro Ringhiera, colorato da bambini a ricordare Fabio, morto anni fa.
"La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori".
L'ha scritto Alda Merini, poetessa, milanese, donna che, anche se internata al Paolo Pini, ha saputo cogliere la bellezza in luoghi e persone che le avevano causato dolore.
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